Edoardo Landi, fisioterapista.
Chissà cos’è passato nella testa di Edoardo, quel giorno. Giovane promessa del calcio, protagonista in quella Primavera del Varese che vinse il Trofeo Viareggio e arrivò a un passo da uno storico scudetto: davanti, la possibilità di una carriera (chissà) importante.
Eppure… “Ci pensavo da un po’, e un giorno ho deciso: dovevamo partire per la trasferta di Verona, partita importante e sentita. Dopo il pranzo, sono andato da Devis Mangia e gliel’ho detto: mister, io vado a casa”.
Perché?
Difficile rispondere. Forse, ho ascoltato le sensazioni: hanno provato in tanti a convincermi a restare, ma la decisione era presa. Una scelta improvvisa, ma non un colpo di testa: l’unico che ci è rimasto male, almeno all’inizio, è stato mio padre. Ma a lui è bastato farmi una domanda: “Sei sicuro?”. Gli è bastato.
Negli anni, si è mai pentito di quella decisione?
Mai, pentito mai. Mi è solo rimasta quella curiosità, che mi fa chiedere che cosa sarebbe successo se avessi continuato a giocare. Molti dei miei compagni hanno giocato a buoni livelli, alcuni giocano in serie A… Ecco, la curiosità mi è rimasta.
Attaccati gli scarpini al chiodo, cos’è successo?
Ho preso la mia strada: mi sono iscritto a scienze motorie, poi ho capito che il mondo della riabilitazione mi affascinava. Quindi, eccomi qui: ho fatto tutto il percorso, con una promessa fatta a me stesso.
Quale?
Che non avrei mai lavorato in un ospedale, perché ho sempre difeso la mia libertà di azione: mi piace avere a che fare con sportivi, mi piace seguire il paziente e accompagnarlo, mi piace affezionarmi ai casi e alle situazioni. In un ospedale c’è meno autonomia perché bisogna necessariamente rispondere a un ortopetico o a un fisiatra. Qui in Olos sono nel posto giusto: non potrei sperare di meglio.
Perché?
Qui il concetto di lavoro di squadra è espresso al massimo, e io a questa cosa tengo tantissimo. Siamo un team completo e affiatato, offriamo un servizio completo, il paziente torna da noi anche dopo la riabilitazione perché si trova bene. Non c’è premio migliore.
Un paziente che non dimenticherà mai?
Lui è un’icona di Olos: affetto da diplegia con una lesione midollare, ha iniziato un percorso con noi in piscina che l’ha portato ad avere dei miglioramenti impensabili e unici. Ricorderò sempre la prima volta che è entrato in acqua, la sua paura e tutti i suoi timori. Oggi nuota da solo, va sott’acqua, si diverte. Ed è il manifesto di Olos.